Seguici su facebook

 

IL RICORDO DI “FELACCIANO”, L’APPASSIONATO CREATIVO CHE NON SI ARRESE ALLA MALATTIA 

 

Si chiamava Raffaele, di cognome Meloro, e come spesso accade nei piccoli centri era conosciuto da tutti con il suo soprannome: “Felacciano”, perché da piccolo era ghiotto di quei fichi che si chiamano così, “fallacciani” appunto.

 

Nato il 4 gennaio del 1924, da papà Giuseppe e mamma Laura, Felacciano, dopo i primi anni di vita trascorsi tra il paesello e il casello ferroviario di cui i genitori sono custodi, venne ad abitare stabilmente a Macchia insieme allo zio Guglielmo Antonio detto “Papit”. Amante della natura e degli animali, come molti a quell’epoca, si recava quotidianamente in campagna ad occuparsi del pascolo del bestiame di Papit.

Nel 1943, a 19 anni, venne chiamato a prestare servizio di leva: “Genio ferroviere”. Poco dopo si ammalò e la sua vita cambiò. Rimasto invalido diventò un commerciante ambulante e nel corso degli anni cambiò diversi lavori. Nonostante il peggioramento della sua malattia, Felacciano non si perse mai d’animo, tutt’altro, la sua mente era sempre presa dalle sue grandi passioni: le recite, le rappresentazioni religiose, l’allestimento dei presepi e l’ingegno in genere. Storiche alcune sue creazioni: dalle scenografie agli abiti, fino alla croce illuminata da esporre al passaggio di Gesù morto alla processione del venerdì Santo. Un’opera capace di stupire, che ancora oggi risplende nei nostri occhi così come risplende il ricordo di zio “Felacciano”, un esempio di abnegazione, passione e sacrificio per tanti concittadini.

 

Raffaele Meloro se n’è andato il 2 febbraio del 2011, lasciando intatto, in tutti noi, il dolce ricordo suo e della sua arte.

 

 Torna a Gente di Macchia

 

UN RIFERIMENTO IN PAESE TRA SORRISI, PALLONATE E CARAMELLE

 

 

Nei ricordi d’infanzia il negozio di alimentari è un piccolo angolo della cuccagna, dove i genitori o i nonni acquistavano dolcetti, caramelle e queste, ricevute in premio o in dono, sembravano sempre le più buone del mondo. Nella storia di Macchia d’Isernia alla voce “negozio di alimentari” è legata indissolubilmente la figura di Ida Galasso, conosciuta da tutti come “La Salaiola”.

Questo perché vendeva il sale, Ida, elemento centrale nella cucina del recente passato sia come condimento dei cibi che come metodo di conservazione degli alimenti. Ma come tutti i protagonisti delle storie di paese anche lei andava oltre il suo semplice ruolo di commerciante. “La Salaiola” è stata il punto di riferimento degli abitanti di Macchia dal 1973 al 1992, gestendo il locale sali e tabacchi e l’annesso punto alimentari. Madre di tre figlie, moglie di un marito da assistere perché malato, per lei non esistevano orari o festivi, motivo per cui ancora oggi è ricordata per gentilezza e disponibilità.

Sulla sua vetrina, in quei 20 anni di attività, saranno sbattute migliaia di pallonate, sparate dai bambini che giocavano in piazza e che un po’ per caso e un po’ no, beccavano le pile di fustini di detersivi che si trovavano esposte. Ida si arrabbiava, li rimproverava, ma fingeva. Infatti poi li richiamava e regalava loro le caramelle, incarnando perfettamente il ruolo del negoziante di paese, quello che dietro una maschera burbera nasconde sempre un sorriso carico di umanità.

Ida se n’è andata nel 2013.

 

 Torna a Gente di Macchia

 

CONTADINA, EMIGRANTE E BANDITRICE: IL RICORDO DELLA TROMBETTA DI ZI’ CLAUDINA

 

 

“È arrvat ru spiazziiiiiinnnn”. Ci sembra quasi di sentire ancora la sua voce e il suono della sua trombetta spalmarsi nei vicoli del paese. Claudia Carlucci, detta Zi’ Claudina, è stata per anni “banditrice” a Macchia d’Isernia, mestiere che ha sintetizzato quello di promoter e di pubblicitario, quando di spot e annunci su larga scala non c’era neanche l’ombra.

Nata in paese nel luglio del 1930 visse un’infanzia serena, tra scuola e pascoli, aiutando insieme ai fratelli i genitori contadini. Si sposò giovanissima e, dopo aver avuto due figli, se ne andò in Svizzera alla ricerca di una vita migliore. All’inizio fu difficile – fu anche costretta a dormire nei bagni della stazione ferroviaria non potendosi permettere un albergo –, ma poi con caparbietà e tanto spirito di sacrificio le cose andarono meglio. Un suo zio le diede ospitalità e oltralpe rimase per circa 20 anni, periodo in cui conobbe a Ginevra un uomo che sposò e da cui ebbe un figlio.

Alla fine di marzo del 1977 tornò a Macchia con tutta la famiglia e riprese dove aveva lasciato: in campagna. Comprò due mucche, due maiali e una capra, diventando coltivatrice diretta, mestiere accanto a cui piazzava altri lavoretti per arrotondare. Soprattutto, divenne banditrice. Annunciava l’arrivo in paese dei commercianti, di chi vendeva frutta, verdura, abbigliamento, con una trombetta in mano e il suo grande senso dell’umorismo in tasca. Carattere generoso e disponibile, la signora Carlucci si è dedicata a sé durante la pensione perché non aveva potuto farlo prima, anche viaggiando, per esempio in direzione Riccione, dove andava alle terme insieme alle amiche una volta l’anno. Ha visitato anche la Svizzera, dove la sua vita ha trovato una nuova traiettoria, ma è sempre tornata nell’amata Macchia, in mezzo agli amici e in quei vicoli in cui qualcuno, ancora oggi, ricorda il suono della sua trombetta.

Ci ha salutati poco più di un anno fa, a 91 anni.

 

 Torna a Gente di Macchia

Save
Cookies user prefences
We use cookies to ensure you to get the best experience on our website. If you decline the use of cookies, this website may not function as expected.
Accept all
Decline all
Read more
Sessione
comune.macchiadisernia.is.it
Accept
Decline
Analytics
Tools used to analyze the data to measure the effectiveness of a website and to understand how it works.
Google Analytics
Accept
Decline