L’UOMO DEL XX SECOLO
Nasce nel 1902 e va via nel 1998, 96 anni dopo. Una vita in un secolo quella di Antonio Lemme, personalità carismatica e punto di riferimento culturale della comunità macchiarola per tutto il ‘900. Sembra che lui ci sia sempre stato e che sempre ci sarà, nascendo in paese, spostandosi per studio e lavoro a Roma e tornando in paese, perché alla fine si torna sempre nel posto che si ama. Nel 1908, racconta suo figlio Fabrizio, pare che avesse visto una Cometa come presagio della fine del mondo, uno tra tanti avvenimenti misteriosi che hanno contraddistinto quei suoi primi anni di vita. Tra i suoi amici del tempo un certo “Giannitte” e un tale “’Nchieglie”. A vent’anni, come molti del suo tempo, ha abbracciato la dottrina fascista, per poi staccarsene pubblicamente e definitivamente, dopo il delitto Matteotti.
Uomo molto orgoglioso delle sue origini molisane e felice di essere un figlio della “Pentria”, va via da Macchia per studiare. Frequenta il Convitto Nazionale Giordano Bruno, di Maddaloni, prima, conseguendo poi la licenza liceale presso il “Visconti” di Roma. Laurea in Giurisprudenza una “Sapienza”, popolata da insigni maestri (Pietro Bonfante, Vittorio Scialoja, Cesare Vivante, Giuseppe Chiovenda, Francesco Scaduto, Dionisio Anzilotti e Antonio Salandra, relatore della sua tesi di laurea e Presidente del Consiglio dei Ministri durante la “Grande Guerra”). Esercita la professione forense a Roma per oltre sessant’anni, appuntando sul petto la medaglia di platino dal Consiglio dell’Ordine, e affronta processi di elevato clamore, nei quali si distingue come difensore (basti citare il celeberrimo “processo Montesi” ed il “processo per le frodi valutarie”, detto anche “processo dei miliardi”).
Rimane sempre profondamente legato a Macchia. Nei mesi successivi all’8 settembre del ’43 diventa “duce e dittatore” in paese, colmando il vuoto del potere centrale e di quello periferico. Assume la guida del Comune per consenso popolare, conducendo complesse trattative con le truppe tedesche occupanti e, racconta suo figlio, “decretando anche l’ostracismo nei confronti di qualche straniero, che si era acquistato malevolenza popolare, sottraendo alla concorrenza locale le più belle ragazze del paese”. A Macchia torna, a 75 anni, in pensione, per dedicarsi agli studi e alla funzione di avvocato d’altri tempi, avvocato-paciere, che imponeva l’accordo ai contendenti e veniva compensato in natura. Per tutta la parte finale della sua vita assume anche un’altra funzione: quella di ricercatore e custode delle tradizioni locali, raccogliendo e diffondendo, fra l’altro, gli antichi canti per la mietitura e per la vendemmia e certe canzoni, delle quali non è facile cogliere il significato. Approfondisce in particolar modo la figura di Celestino V, di cui rivendica i natali macchiaroli.
La sua fama si diffonde talmente tanto che intere scolaresche, accompagnate dai docenti, vengono a fargli visita nella sua casa, affacciata proprio su Piazza Elena. Lui ama chiacchierare con i più giovani, dedicandosi a loro e ricordando memorie dei familiari. Un archivio vivente, che conclude il suo viaggio in terra a quasi 96 anni (nel febbraio 1998), “avendo seguito con attenta partecipazione quasi un secolo di storia italiana”.
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