LE INCREDIBILI AVVENTURE IN TERRA E MARE DI ALEO ORSANO, DETTO UCCITT’


Si chiamava Aleo, ma come spesso accade nei piccoli paesi il nome si è trasformato e il vezzeggiativo ha preso il sopravvento: Leuccio, Uccio, Ucc’, Uccitt’. E come Uccitt’ è ricordato ancora oggi, 18 anni dopo la sua scomparsa. Una vita lunga 82 anni e davvero fuori dal normale, quella del signor Orsano, venuto al mondo in una famiglia poverissima il 17 luglio del 1919.

Il padre è calzolaio e la famiglia non se la passa troppo bene economicamente: se la sera c’è in tavola qualche patata è oro. Poi, come ha raccontato lui stesso, dopo la “cena” - se così si può chiamare - si esce in paese alla caccia dei gatti. È sempre carne e in quel periodo serve. Quando ha 14 anni Uccitt lavora a Caianello (CE) e ci va in bici, 35 km all’andata e 35 al ritorno. Ogni giorno, sempre con la stessa fame addosso.

Per cercare di scrollarsela via, a 18 anni si arruola nella Marina Militare. Nel 1939, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, è a Trieste e davanti a sé ha anni di guerra, in cui partecipa alle principali battaglie navali nei mari europei: lo sbarco in Albania, Ponte Stilo, Capo Teulada, Capo Matapan. Lì, il 28 marzo 1941, muoiono sotto i suoi occhi più di 2300 marinai italiani. Una disfatta. In quell’occasione la “Vittorio Veneto”, una corazzata di 35.000 tonnellate di stazza, è gravemente danneggiata. Dopo Capo Matapan, la Vittorio Veneto viene trasferita in cantiere navale mentre Uccitt’ si imbarca, in qualità di capo-cannoniere, su una piccola unità militarizzata, la “Porto di Roma”, diretta a Rodi, nell’Egeo. Conosce una ragazza di religione greco-ortodossa, si innamorano e si sposano, proprio con rito ortodosso.

Ad armistizio firmato è sull’isola di Lero dove, nel frattempo, si sono stabiliti gli inglesi; la moglie è ancora a Rodi, dove invece sono stanziati i nazisti. L’Italia e la Germania diventano nemici e i tedeschi affondano la sua nave, vicino alla costa turca. Uccitt’ passa oltre 20 ore in mare, aggrappato a una tavola, viene recuperato da una vedetta turca, che lo porta a Bodrum. È sotto il comando inglese, ma anche da loro è considerato un nemico, sebbene sia stato firmato l’armistizio. Non obbedisce all’ordine di combattere contro gli italiani e finisce nel campo di prigionia denominato “305 Criminal Camp”, in Egitto. La fame torna e arrivano le malattie. Con l’aiuto degli arabi – che ci procuravano aghi, stagno e saldatori – Uccitt’ e i suoi commilitoni inizia a costruire alambicchi per la produzione di alcool: il distillato, prodotto anche con le feci, viene venduto alle sentinelle inglesi.

Un giorno – stanco di sopravvivere - si arrampica sull’asta per l’alzabandiera, ad un’altezza di 10 metri, e comincia ad urinare sulle teste dei soldati inglesi. Lo portano in manicomio con la camicia di forza. Inizia il suo ennesimo incubo. Dopo alcuni mesi un medico inglese lo porta a casa sua. Il medico diagnostica la sua “pazzia”, ma una “colonnellessa” inglese, convinta che fosse un simulatore, lo rispedisce nel campo di prigionia. Ma anche stavolta non si arrende: con due amici organizza una fuga e grazie all’aiuto degli egiziani riesce nell’impresa.

Al termine di altre peripezie torna a Roma, vive a Forte Boccea, trova un lavoro, incontra e si innamora di un’altra donna. Dopo qualche anno di tribolazioni e incartamenti – perché Uccitt risultava già sposato –, riesce a sposare la donna della sua vita, madre della sua unica figlia. La vita ha però in serbo per lui ancora un tragico scherzo: dopo pochi anni la donna, ancora giovane, muore di cancro. A quel punto, insieme alla figlia si trasferisce a Macchia d’Isernia, dove vive il resto della sua straordinaria vita e muore, il 25 febbraio del 2002.

“Posso dire di aver vissuto una vita molto intensa” scrive Uccitt’ nelle sue memorie trascritte. Come dargli torto.

 

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