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IL RICORDO DI “FELACCIANO”, L’APPASSIONATO CREATIVO CHE NON SI ARRESE ALLA MALATTIA 

 

Si chiamava Raffaele, di cognome Meloro, e come spesso accade nei piccoli centri era conosciuto da tutti con il suo soprannome: “Felacciano”, perché da piccolo era ghiotto di quei fichi che si chiamano così, “fallacciani” appunto.

 

Nato il 4 gennaio del 1924, da papà Giuseppe e mamma Laura, Felacciano, dopo i primi anni di vita trascorsi tra il paesello e il casello ferroviario di cui i genitori sono custodi, venne ad abitare stabilmente a Macchia insieme allo zio Guglielmo Antonio detto “Papit”. Amante della natura e degli animali, come molti a quell’epoca, si recava quotidianamente in campagna ad occuparsi del pascolo del bestiame di Papit.

Nel 1943, a 19 anni, venne chiamato a prestare servizio di leva: “Genio ferroviere”. Poco dopo si ammalò e la sua vita cambiò. Rimasto invalido diventò un commerciante ambulante e nel corso degli anni cambiò diversi lavori. Nonostante il peggioramento della sua malattia, Felacciano non si perse mai d’animo, tutt’altro, la sua mente era sempre presa dalle sue grandi passioni: le recite, le rappresentazioni religiose, l’allestimento dei presepi e l’ingegno in genere. Storiche alcune sue creazioni: dalle scenografie agli abiti, fino alla croce illuminata da esporre al passaggio di Gesù morto alla processione del venerdì Santo. Un’opera capace di stupire, che ancora oggi risplende nei nostri occhi così come risplende il ricordo di zio “Felacciano”, un esempio di abnegazione, passione e sacrificio per tanti concittadini.

 

Raffaele Meloro se n’è andato il 2 febbraio del 2011, lasciando intatto, in tutti noi, il dolce ricordo suo e della sua arte.

 

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